Siamo sicuri di stare al sicuro?
Parlare di prevenzione nei luoghi di lavoro ora e parlarne solo perché c’è un problema in più, quello legato all’emergenza coronavirus, è sicuramente riduttivo e non tiene conto di fatti oggettivi che devono essere citati.
Solo a gennaio 2020, in epoca “pre” coronavirus, 52 persone hanno perso la vita per incidenti sul lavoro, in aumento rispetto allo stesso periodo del 2019 (44 decessi); una media che si assesta da anni su tre morti al giorno e ovviamente i dati sono da sempre sottostimati perché relativi solo ai lavoratori assicurati INAIL e quindi non comprendono i lavoratori autonomi, atipici e in nero.
Oggi a questi dati si sommano le oltre 37.000 denunce per infortunio sul lavoro per contagio da Covid-19 e le 129 denunce di infortunio mortale alla data del 4 Maggio (dati Inail) ed alla strage silenziosa si riserva oggi una flebile rilevanza mediatica, destinata nuovamente all’oblio quando anche i morti per coronavirus non faranno più notizia.
Il DPCM del 26 Aprile2020 si limita ad inserire delle raccomandazioni, sulla base del documento tecnico INAIL che emana indicazioni sulle misure di contenimento da contagio COVID e predispone una nuova metodologia di valutazione del rischio biologico per le attività precedentemente escluse; in pratica prescrizioni generalizzate per tutti i datori di lavoro che per la maggior parte individuano misure per la riduzione di un rischio che non deriva dall’attività produttiva bensì dalla possibilità di contagio tra persone.
In pratica, un aggiornamento dei rischi che ogni datore di lavoro è obbligato a valutare, eliminare e contenere, a tutela della salute e della sicurezza dei suoi lavoratori; un obbligo sanzionato penalmente dal 1994 (prima con il D.Lgs. 626/94 e dal 2008 con il D.Lgs 81/2008) e per buona parte disatteso o quantomeno sottovalutato, se si pensa alla media dei 3 morti al giorno per infortunio e alle migliaia di sanzioni erogate dagli organismi preposti alla vigilanza sull’osservanza delle suddette norme.
Già, gli organismi preposti….è compito dei tecnici di prevenzione nei luoghi di lavoro delle USL, Ufficiali di Polizia Giudiziaria, vigilare sul rispetto delle normative; personale che come il restante personale sanitario afferente alle USL ha subito continui ridimensionamenti nel numero e quindi anche nella possibilità di garantire una efficiente copertura su tutti i luoghi di lavoro che insistono nel territorio di competenza USL, in genere comunale, sovracomunale o provinciale. Personale che ancora di più ha subito l’effetto “cura dimagrante” della politica sanitaria del Presidente Rossi, che destina da sempre poco più che briciole alla prevenzione.
Da decenni l’attività dei servizi di prevenzione nei luoghi di lavoro si limita alle inchieste infortuni, cioè all’attività tesa all’individuazione di responsabilità a seguito di infortunio sul lavoro; in pratica si contano i buoi scappati dalla stalla, invece di chiuderla.
Di prevenzione vera, quella dei sopralluoghi nelle aziende, del valutare nel merito il documento di valutazione di rischio, spesso ridotto a un misero “copia-incolla” di documenti ricopiati da zelanti consulenti pagati a peso d’oro, non se ne parla più da anni e la riprova è il numero dei tecnici sempre più ridotto per il quale non si provvede nemmeno ad integrare il turn over.
Questo personale oggi è chiamato ad un’attività ulteriore, la vigilanza sul rispetto delle nuove raccomandazioni che vanno ad implementare una valutazione di rischio e la Regione non si pone il problema se sia sufficiente emanare ordinanze senza curarsi se ci sia la possibilità di osservarne il rispetto.
Tra l’apparire e il fare la Regione sa sempre da quale parte stare.
*Monica Pecori è consigliera regionale di “Toscana per tutti“