Gli autobus di stato sono fuori controllo, IIA senza guida e con i conti in rosso
Fonte: “Rifondazione Santa Fiora“
L’industria Italiana Autobus è “fuori controllo”, senza guida dopo le dimissioni dell’ad Antonio Liguori e di tutto il cda dopo aver approvato un bilancio in perdita per 47,7 milioni di euro. Una situazione di incertezza che dura da quasi un mese e preoccupa i sindacati, allarmati per le sorti della società – controllata da Invitalia e Leonardo – contro il cui management a fine maggio si è scagliata la sottosegretaria del ministero delle Imprese, Fausta Bergamotto. Ma dopo aver “sollecitato” un passo indietro dei vertici, le società pubbliche che controllano l’ex Breda Menarinibus-Irisbus non hanno ancora provveduto alle nuove nomine. Del resto, è noto che l’attuale maggioranza sia sempre stata contraria alla statalizzazione portata a termine nel 2019 dopo oltre un quinquennio di problemi nel rilancio degli stabilimenti bolognesi e avellinesi.
Ma ora l’inerzia spaventa tutte le sigle sindacali perché la produzione “continua a essere sostanzialmente ferma, le aziende clienti (per lo più municipalizzate del trasporto pubblico locale) continuano a sollecitare giustamente la consegna dei mezzi, i fornitori sospendono anche i servizi di manutenzione dei mezzi”, scrivono Fiom, Fim, Uilm, Uglm e Fismic in una nota. E annunciano otto ore di sciopero per il prossimo 6 luglio con un presidio sotto il ministero guidato da Adolfo Urso. “In questo caos, nonostante le richieste dei sindacati di convocare urgentemente un tavolo, dal Mimit c’è un assordante silenzio mentre si susseguono più voci su possibili aperture di procedure concorsuali che se confermate vorrebbe dire il fallimento dell’unica azienda italiana a partecipazione pubblica che produce autobus nel nostro Paese”, è l’accusa dei metalmeccanici.
Per questo ritengono “necessario convocare urgentemente il tavolo di crisi” e “aprire un confronto su come gestire questa delicata fase e su cosa il governo vuole fare per salvaguardare un asset industriale strategico”. Inoltre, chiedono un “maggior coinvolgimento dei lavoratori” che “stanno vivendo giorni drammatici nell’incertezza del proprio presente e del proprio futuro”. Furono proprio i lavoratori, rivendicano i sindacati, a permettere di “tenere vivi gli stabilimenti e le aree di ricerca e sviluppo di Bologna e Flumeri” e “non permetteranno ora il fallimento di un progetto industriale che ha prospettive e che è stato gestito in modo pessimo dal gruppo dirigente”.
In questi anni, il tentativo di rilanciare Industria Italiana Autobus è passato per numerosi piani falliti, nonostante i soldi pubblici pompati. Ora ci sarebbero tutte le carte in regola per non finire fuori strada: le commesse ci sono, il mercato anche e il controllo pubblico – affiancato dai turchi di Karsan – è affidato a due partecipate di primo livello. Insomma, lo Stato è azionista attraverso Leonardo e Invitalia, nonché committente attraverso gli enti locali. Un circolo perfetto per il rilancio. Eppure qualcosa nel meccanismo si è inceppato, anche negli ultimi mesi. A fronte di commesse da parte di importanti Comuni – comprese Roma e Bergamo – gli autobus consegnati solo stati solo 70 e quelli finiti 120, a fronte di un obiettivo previsto di 152 mezzi.
Cosa non va? Tra i problemi – apprende Ilfattoquotidiano.it – ci sarebbe l’approvvigionamento dei materiali per la produzione. Una vicenda probabilmente risolvibile con una nuova dirigenza, ancora assente nonostante le dimissioni indotte. Certo, i giudizi del governo sulla decisione di affidare a una cordata pubblica Industria Italiana Autobus non lasciano ben sperare. “Sono stati commessi gravi errori da chi ritenne di affidarla a una cordata pubblica”, ha detto il ministro Urso recentemente parlando di un “intervento” a breve. Parole che lasciano intravedere più un cambio degli assetti societari che un rilancio in house dell’azienda. Al momento resta l’immobilismo dopo gli annunci, come su altri dossier caldi da Ilva all’intero comparto automotive. I sindacati chiedono almeno di comprendere quale sia la strategia per evitare un’altra dolorosissima dismissione.