Chi resta a casa?
Blocco degli sfratti e piano straordinario casa per evitare una catastrofe sociale.
Mostrando elementi di grave irresponsabilità sociale il Governo, nel suo ultimo Dpcm e in altri suoi provvedimenti, si era “scordato” di rinnovare la proroga del blocco delle esecuzioni degli sfratti. “Dimenticanza” poi recuperata prorogando tale blocco fino a giugno, ma che già in quei pochi giorni aveva provocato grande apprensione se non disperazione. E relative forti proteste.
Alla perdita del lavoro e del reddito, da gennaio si sarebbe avverata anche quella, tragica, dell’alloggio. Quello che noi abbiamo definito proprio uno tsunami sociale, l’automatismo dell’equazione perdi il lavoro = perdi la casa, quindi per ora è rimandato a giugno.
Ma è solo la punta dell’iceberg che è stata tamponata. Ciò che è ancora infatti più grave è che in questi mesi, e dunque neanche nell’ultimo dpcm e nei provvedimenti di dicembre, nessuna misura sia stata presa per risolvere a monte il bisogno casa. Centinaia di migliaia di famiglie che non possono e non potranno accedere al mercato immobiliare privato per trovare un alloggio. Un bisogno casa destinato a crescere in questi anni proprio per gli effetti della crisi economica determinata dalla pandemia. Non ci stancheremo mai di ricordare che ormai oltre il 90% degli sfratti concessi è per morosità incolpevole, ossia per famiglie che non sono più riuscite a sostenere il canone locatorio per la perdita del lavoro di un loro componente. Una conferma indiretta ci arriva anche dal fatto che gli sfratti per fine locazione sono ormai in via di esaurimento e questo conferma che il mercato della locazione si era spostato su affitti a breve brevissimo tempo.
Vediamo quindi il corpus nel suo complesso: Blocco dell’esecuzione degli sfratti, fondo per il contributo affitti e fondo per contrastare la morosità incolpevole le abbiamo sempre definite come misure tampone. Misure certo necessari per contrastare la crisi ma che da sole non possono, ne dicono di poterlo fare, risolvere il bisogno di casa a costi più che calmierati. Siamo quindi a una per nulla ingenua istant Policy, quando va bene, che oggi vista la crisi non può essere più nemmeno sufficiente a “nascondere sotto il tappeto ciò che non va”.
Se infatti in questi mesi si è visto crescere esponenzialmente il numero delle famiglie in difficoltà per la perdita, o ridimensionamento del reddito da lavoro, da parte della proprietà immobiliare nella maggioranza dei casi, non si è manifestata nessuna volontà di fare i conti con la crisi stessa, non adottando, come richiesto da parte di molte amministrazioni locali, un ridimensionamento provvisorio e limitato nel tempo dei canoni di locazione. Sia per le abitazioni che per gli esercizi commerciali. Una proprietà immobiliare parassitaria, sempre più caratterizzata da appetiti finanziari e speculativi, completamente indifferente e distaccata dalla realtà sociale in cui opera. Una ottusità che ad esempio non mette al riparo piccoli e medi proprietari da un fenomeno che viene avanzando nelle città d’arte: compratori “stranieri” che cercano di lucrare ulteriormente sulla crisi e sulla mancanza di liquidità per accaparrarsi a minor prezzo pezzi consistenti di città.
La lettera pubblica su “Il Giornale” del 5 gennaio di Matteo Salvini volutamente paventa come pericolo conseguente al blocco degli sfratti, quello che invece è già avvenuto, ossia lo spostamento del mercato privato delle locazioni su affitti giornalieri, week-end, o tempi comunque brevissimi.
Volutamente nella lettera si ignora che gli sfratti concessi sono al 90% per morosità incolpevole, aprendo la caccia al “cattivo” locatario per denunciare l’effetto nefasto sul proprietario “innocente” il quale invece, nella realtà effettiva, va avanti nella causa pur avendo quasi sempre davanti a se un inquilino incolpevolmente moroso. Proprietario che spesso rifiuta di accettare la corresponsione di tutto l’importo dovuto (avviene quando interviene l’amministrazione comunale) alla sola condizione di annullare la causa giudiziaria. Come dire non importano i soldi che si perdono, non importa se si caccia una famiglia in mezzo alla strada, l’importante è rientrare nella disponibilità dell’alloggio per poter speculare. Perché questo è quasi sempre l’esito.
Vale forse anche ricordare che si è voluto negli anni cancellare il dover comprovare la “necessità” del proprietario dell’alloggio che chiedeva lo sfratto, e questo proprio per agevolare quel proprietario che necessità non ne aveva se non quella di speculare.
La questione centrale però rimane: per le famiglie sotto sfratto è una tortura dipendere mese dopo mese da rinvii senza che si apra una strada per trovare una soluzione abitativa stabile. Il blocco della esecuzione degli sfratti non blocca l’iter giudiziario per la concessione dello sfratto per cui si prepara comunque un futuro dove il numero di sfratti concessi sarà cresciuto in maniera più che allarmante, e se non vi saranno risposte nuove ed aggiuntive in termini di patrimonio abitativo disponibile, sarà una situazione insostenibile per le famiglie private di un tetto. Ma anche per le amministrazioni che non sapranno come agire!
Quindi torniamo a dirlo: è necessario utilizzare il primo passo del blocco dell’esecuzione degli sfratti per adottare e realizzare un piano straordinario casa:
Un piano casa dimensionato sul numero delle famiglie che da anni sono in graduatoria (650.000) alle quali aggiungere le famiglie che sotto sfratto esecutivo, prevedendo alloggi per giovani single e giovani famiglie che vogliono avviare una vita autonoma e con dignità.
Un piano straordinario casa da finanziare con una quota del Recovery found, a consumo di suolo zero perché incentrato sul recupero a fini residenziali dell’immenso patrimonio pubblico, e privato, dismesso e inutilizzato da anni (spesso nella speranza di una sua valorizzazione immobiliare speculativa). Non è più tempo, se mai lo fosse stato, di sogni immobiliari e turistici, il patrimonio compatibile con la residenza deve essere riconvertito ad alloggi di Edilizia Economica e Popolare e parte a social housing.
Un piano straordinario che chieda ai Comuni di cessare di attendere la soluzione dal Governo e di lamentarsi se questa non arriva, e invece contribuire con risorse proprie, appunto con la messa a disposizione del patrimonio dismesso compatibile con la residenza.
Un piano casa che potrebbe consegnare alloggi in tempi contenuti, e avviare politiche del diritto all’abitare prevedendo il recupero di spazi sociali proprio per superare la desertificazione e l’inaridimento dell’abitare, caratteristica di questi ultimi decenni, valorizzando invece forme di partecipazione, protagonismo e l’auto organizzazione degli spazi collettivi e sociali.
Sono necessari ovviamente anche provvedimenti immediati, di giustizia sociale, come quello prioritario, che manca da anni, cioè una legge di riforma dei canoni di locazione, fino a provvedimenti più modesti ma di indubbia giustizia sociale come quello di cancellare l’IMU sull’edilizia economica e popolare, di proprietà dei Comuni ma gestita (per scelta dei Comuni stessi in nome alla cosiddetta efficienza) da società di gestione interamente pubbliche ma in regime giuridico privatistico (una privatizzazione della gestione fatta sull’onda delle privatizzazioni più generali, con il risultato di far pagare alle società l’IMU degli immobili di proprietà dei Comuni stessi!). Scelta tale da consentire invece anche a Ater ecc. di realizzare una quota di alloggi da affittare in social housing.
Un piano straordinario casa perché l’obiettivo è costruire risposte al bisogno e non dipendenza dall’elemosina. Ma l’emancipazione dal bisogno è possibile solo se si realizza una risposta pubblica corrispondente alla reale esigenza. Oggi si può e si deve fare, e si può fare senza consumo di suolo ma recuperando un immenso patrimonio abbandonato e dismesso. Gli effetti della crisi economica dureranno ancora per svariati anni, il ritorno alle presenze turistiche anch’esso è rimandato per diversi anni, Il vuoto non esiste, e già si avvicina un’imprenditoria interessata ad approfittare delle difficoltà economica per rastrellare pezzi di città. Riavviare un ciclo virtuoso di economia, piccola imprenditoria edilizia, rivitalizzare pezzi di città e ridare speranza di vita dignitosa a famiglie sotto l’incudine della perdita della casa, è possibile. È indubbio che l’urgenza inderogabile, pena il rischio di rivolta sociale, è l’approvazione di un piano casa straordinario che in pochi anni consegni un aumento consistente e realistico di alloggi di edilizia popolare ed è proprio – per obbligare proprietari di case, inquilini e richiedenti casa in una lotta unitaria e coesa – vincolare alla realizzazione di questo piano che va vincolato la cogenza e la temporalità del blocco dell’esecuzione degli sfratti.
Questa è l’unica scadenza tollerabile. La riconversione di questo patrimonio abbandonato è il volano della ripartenza: se non ora quando?