MARCO BERTOLINI: AVDIIVKA, “VITTORIA TATTICA E POLITICA DEL CREMLINO
MARCO BERTOLINI: AVDIIVKA, “VITTORIA TATTICA E POLITICA DEL CREMLINO
In un’intervista di SABRINA PROVENZANI il generale Marco Bertolini analizza con la sua consueta lucidità la recente caduta della città ucraina di Avdiivka e le conseguenze che potrebbe avere nel conflitto .
Generale Marco Bertolini, facciamo un passo indietro per spiegare la battaglia di Avdiivka e perché la città mineraria è stata ribattezzata la porta d’ingresso alla regione del Donetsk Oblast.
È una battaglia cruciale e molto dura, che di fatto continua dal 2014, perché Avdiivka è molto vicina a Donetsk, la capitale di una delle due repubbliche rivendicate da Mosca. Quindi la sua caduta per i russi significa eliminare una minaccia diretta su Donetsk. Proprio per la sua importanza militare e strategica gli ucraini ne avevano fatto uno snodo fortificato e vi avevano mandato la Terza Brigata Azov. Qundi per Mosca è una vittoria tattica, politica e strategica.
Le risorse ucraine sono sfibrate o si è trattato di una brillante operazione russa?
Entrambe. Ricordi che per vincere a Bakhmut i russi hanno dovuto concentrare le loro migliori forze. Ad Avdiivka no: mentre ingaggiavano una battaglia così dura sono stati in grado di avanzare anche in altre aree del fronte nord, e non hanno avuto bisogno né di distrarre forze da altri settori né di sacrificare unità d’elite. Hanno cioè dimostrato una superiorità incontrastata, sia di artiglieria che di fanteria, su una porzione di fronte estesa.
Qual è invece la rilevanza simbolica e sul morale delle truppe e della popolazione ucraina?
È evidentemente un momento molto delicato per l’Ucraina, perché al fronte ci sono figli e fratelli. La strategia offensiva è fallita e si impone quella difensiva, cercando di risparmiare le forze. Del resto il precedente capo dell’esercito, il carismatico Zaluzhnyi, si sarebbe ritirato ben prima, ed è anche su questo che si è scontrato con Zelensky, a cui faceva ombra e che ha bisogno di vittorie ideologiche per ottenere il sostegno occidentale.
Qual è la situazione sul fronte russo in termini di forze, armi e catena di comando ed approvvigionamento?
Si sono molto rafforzati da ogni punto di vista. Sono passati da una operazione militarmente un po’ improvvisata, che mirava a instaurare un governo fantoccio a Kiev, alla creazione di un comando centrale, e nei vari teatri di guerra urbana, da Bakhmut a Mariupol a Kherson, hanno imparato a combattere, e soprattutto hanno dimostrato che la narrazione occidentale su una loro inferiorità tecnologica era solo propaganda.
Ripercussioni di questa ritirata, insieme alla morte di Navalny, sul Congresso americano da cui dipende lo stanziamento di fondi a Kiev?
Direi che la morte di Navalny è una vicenda se vuole ormai metabolizzata, nel senso che può incidere un po’ sull’opinione pubblica ma non sull’impegno Usa: la partita dei fondi è un do ut des di politica interna fra repubblicani e democratici legata all’immigrazione. Ciò detto, gli Usa non possono perdere in Ucraina, perché ci hanno messo la faccia. Però hanno dato e molto, e non ne hanno più: ma senza di loro Kiev non va avanti.
In caso di disimpegno Usa, Kiev può resistere con aiuti degli altri paesi Nato?
L’ostacolo non è tanto economico quanto di linee di produzione. L’economia russa si è riconvertita in economia di guerra. Lei ce la vede le fabbriche italiane a mobilitarsi per lo sforzo bellico? Non vedo le condizioni politiche per imporlo. Questo sarebbe invece il momento opportuno per tornare ai negoziati: gli ucraini hanno salvato l’onore dimostrando di essere buoni soldati e Putin può voler chiudere la partita. E poi consideri che anche i vertici militari russi e ucraini sono una commistione, lo stesso Syrskyi ha i genitori in Russia… insomma ucraini e russi possono parlare la stessa lingua, volendo… e ci si sarebbe arrivati prima se non fosse intervenuto l’allora primo ministro britannico Boris Johnson a spingere sul conflitto.
Ma un grande ostacolo è il fatto che Zelensky fa dell’integrità territoriale ucraina la sua linea rossa, e ha costruito la sua retorica su una vittoria completa, quindi non concederebbe i territori separatisti…
Esatto, una determinazione categorica che è servita a tagliare i ponti dietro le spalle di Kiev e mi pare non sia nemmeno una sua linea autonoma, ma gli sia stata suggerita.
Quindi per smuovere quella linea servirebbe un avvicendamento al governo?
Diciamo di sì, anche perché ricordi che Zelensky controlla la stampa ma non ha più l’appoggio dell’opinione pubblica… ci sono due problemi: il presidente impedisce per legge nuove elezioni e al momento non si vede una vera alternativa politica.